martedì 13 ottobre 2015

Lettera aperta di Ronda Rousey: "Sono una lottatrice"

La campionessa dei pesi gallo riflette su cosa l'abbia spinta a combattere: "Sentivo molto dolore, rabbia e odio verso me stessa"







Ronda Rousey ha pubblicato un testo sull'Herald Sun, quotidiano australiano, in cui si apre al mondo e spiega con parole sue cosa l'abbia spinta a combattere, il ruolo di suo padre e sua madre, come prepara e affronta ogni incontro e come combattere non sia ai suoi occhi nient'altro che una metafora della nostra vita.

Mi fermo qui e lascio che sia lei stessa a parlare.

"Nell'agosto del 2008, a Pechino, in Cina, stavo cercando in tutti i modi di rompere il braccio di una donna algerina che conoscevo appena.
È lei stessa un'esperta judoka, per cui sapeva che non c'era nulla che avrebbe potuto fare per fermarmi e batté sulla gamba in segno di resa.
Ho vinto l'incontro sulla strada verso il bronzo olimpico di judo.
Fui la prima donna del mio paese a vincere una medaglia olimpica in quello sport.
Molte persone mi dissero che ero un eroe americano quel giorno.
Nel febbraio del 2013, in uno stadio esaurito in California, stavo cercando in tutti i modi di rompere il braccio di un'latra donna che conoscevo appena chiamata Liz Carmouche.
È lei stessa un'esperta lottatrice, per cui sapeva che non c'era nulla che avrebbe potuto fare per fermarmi e batté sulla gamba in segno di resa.
Fui la prima donna a vincere un titolo dell'UFC.
Molti mi diedero della barbara quel giorno.

Sono una lottatrice.
Ma non sono una persona violenta.
Non mi fa piacere far male alla gente.
Se qualcuno si fa male, non è l'obiettivo delle mie azioni - in effetti preferisco vincere senza che nessuno si faccia male.
Tuttavia gli infortuni fanno parte del mio lavoro, così come il tunnel carpale lo è per chi scrive al computer tutto il giorno di professione.
Per qualche motivo sono nata da una madre che fu campionessa del mondo di judo.
Per qualche motivo mio padre si suicidò quando avevo otto anni.
Sentivo molto dolore e rabbia e odio verso me stessa e per qualche motivo trovai uno sfogo che mi salvò.
Combattere.

Per me combattere non è un atto di crudeltà o la glorificazione della violenza.
Combattere è una metafora della vita.
Ogni persona che incontri nella vita di tutti i giorni sta combattendo per qualcosa, ma la vita è complicata e quello per cui stai lottando a volte non è molto chiaro.
Ma un combattimento vero e proprio è bianco e nero, una via d'uscita da tutte le sfumature di grigio dalle quali siamo tutti occupati.
Quando è stata l'ultima volta in cui qualcosa di ruvido ti ha sfiorato la pelle?
Quando è stata l'ultima volta in cui hai dovuto sopportare una temperatura sgradevole?
Quando è stata l'ultima volta in cui sei stato veramente sotto pressione? 
Viviamo in un'epoca di tessuti delicati, aria condizionata e premi di consolazione.
Abbiamo tutti bisogno di sentirci un po' scomodi per convincerci di essere svegli.
Un istintivo bisogno di darci un pizzicotto per essere sicuri che non stiamo sognando.
Quel pizzicotto potrebbe essere stare seduti a guardare un incontro, sussultando e soffrendo e saltando e gridando e sentendo il cuore battere all'impazzata per il lottatore nel quale per qualche motivo hai deciso di identificarti.

Gli incontri danno ai tifosi il sapore della gloria.
Quando sono dentro l'Ottagono dell'UFC non penso a fare male alla persona in piedi di fronte a me.
Ho un problema da risolvere.
Cosa staranno pensando?
Cosa sanno di me?
Cosa credono che funzionerà contro di me in base a quello che sanno?
In che modo stanno cercando di risolvere "me", il loro problema? Quel che qualcuno chiama uno sport cruento, io la chiamo una sfida mentale ad altissimo rischio.
Di tutte le cose al mondo di cui mi devo preoccupare nel passato e nel futuro, l'unica cosa che ho in mente durante un combattimento è quell'esatto momento e il problema che sto cercando di risolvere.
È la fuga e lo sfogo dell'artista.
Non è una rissa.
Non è sangue e violenza.
È un'arte.
È un'opportunità di essere coraggiosi.
È oltrepassare le difficoltà.
E gradirei non mi giudicaste per questo."