Riusciranno mai i lottatori dell'UFC a formare un sindacato? Ne hanno il diritto? La risposta potrebbe venire da dove meno te lo aspetti.
Questa settimana - il 6 di luglio - è entrato in vigore l'accordo tra la Reebok e l'UFC.
A partir da questo mese, gli atleti vestiranno obbligatoriamente, durante la settimana dell'incontro, il materiale Reebok e verranno compensati economicamente secondo un sistema stabilito unilateralmente tra l'UFC e la stessa Reebok. Senza che gli atleti venissero coinvolti nel processo.
La decisione ha scatenato un'ondata di proteste - in particolare, ovviamente, da chi con quest'accordo ci ha perso economicamente - e ha dato nuovo vigore a quegli atleti che già invocavano la creazione di un sindacato, o un'associazione, dei lottatori, in modo tale da poter difendere i loro diritti e bilanciare il rapporto di forza con l'UFC.
Vari ostacoli si frappongono alla realizzazione di questo progetto - il più grande è forse proprio la mancanza di coesione da parte degli stessi lottatori - tra cui alcuni legali.
Uno dei nodi più difficile da sciogliere è che il contratto che lega gli atleti all'UFC è un contratto di collaborazione esterna. Negli Stati Uniti, questo significa che i lottatori non hanno diritto ha costituire un sindacato ne di interferire in merito alle decisioni dell'azienda, dell'UFC. Firmano un contratto in cui concordano con quello che vi è stipulato e lì finisce il loro campo d'azione.
Tuttavia non tutto è bianco e nero.
Un articolo pubblicato sul sito combatsportslaw.com, dedicato agli aspetti legali degli sport sa combattimento negli Stati Uniti, ricorda che, per la legge americana, nonostante quel che dica il tuo contratto potresti essere un lavoratore dipendente.
Com'è possibile?
Attraverso un tribunale. Un tribunale ha il diritto di stabilire se, indipendentemente da ciò che dice il contratto, un individuo è un collaboratore o un dipendente e lo fa guardando alla totalità del rapporto di lavoro.
Se i lottatori venissero considerati dipendenti avrebbero il diritto di costituire un sindacato e di usufruire inoltre della protezione minima garantita per legge ai dipendenti.
Esistono però, concretamente, le basi per fondamentare tale argomento?
Sembrerebbe di sì, ci sono precedenti. Ed è qui che entrano in gioco spogliarelliste e cheerleaders.
Verso la fine dell'anno scorso, la corte suprema del Nevada ha stabilito che le spogliarelliste che lavoravano nel Sapphire Gentlmen's Club erano di fatto dipendenti, non collaboratrici indipendenti come scritto nel contratto. È stata una decisione importante perché ha spianato la strada agli artisti dello spettacolo per denunciare il mancato pagamento di ore arretrate, straordinari e altre protezioni per i lavoratori dipendenti previste dalla legge. Gli elementi che portarono ad una tale conclusione, sorsero in particolare dall'analisi del grado di influenza del supposto datore di lavoro verso i collaboratori esterni nel tentativo di capire quanto "indipendenti" fossero. In particolare:
1) il grado di diritto del supposto datore di lavoro di stabilire il modo in cui il lavoro deve essere svolto;
2) quanto il profitto o la perdita del supposto datore di lavoro dipende dalla sua capacità di gestione.
Con il celebrato programma antidoping dell'UFC che richiede agli atleti disponibilità verso l'USADA 24 ore su 24, 365 giorni all'anno; con l'accordo con la Reebok per le divise che stabilisce cosa devono vestire i lottatori quando combattono secondo una struttura di compensazione economica imposta unilateralmente e, per ultimo, con la recente creazione dell'UFC Lab il cui obiettivo è quello di influenzare i metodi di allenamento e riabilitazione degli atleti, insieme alle frequenti forti restrizioni incluse nei contratti dell'UFC, gli argomenti per un rapporto datore di lavoro/dipendente diventano sempre più solidi.
I lottatori dell'UFC possono inoltre imparare da "Lacy", delle Oakland Raiderettes che ha sottoposto con successo un azione legale che è risultata in un accordo di 1,25 milioni di dollari per il mancato pagamento di salari adeguati secondo la legge dello stato.
Per farla breve, le cheerleaders erano state contrattate a 125 dollari a partita, quando, sommando tutti gli allenamenti, comparse e altri obblighi imposti per adempiere al loro dovere, il montante retribuito durante la stagione era ben al di sotto del valore minimo previsto dalle legge.
Benché questo caso non entri nel dibattito sulla natura del rapporto di lavoro (era chiaro che le cheerleaders erano dipendenti), il caso illustra come, se i lottatori dell'UFC sono dipendenti, la legge sul minimo salariale si potrebbe applicare a tutti gli allenamenti e attività necessarie alla preparazione degli incontri.
In conclusione, se i lottatori desiderano formare un'associazione o magari perfino un sindacato dipende da loro.
La decisione ha scatenato un'ondata di proteste - in particolare, ovviamente, da chi con quest'accordo ci ha perso economicamente - e ha dato nuovo vigore a quegli atleti che già invocavano la creazione di un sindacato, o un'associazione, dei lottatori, in modo tale da poter difendere i loro diritti e bilanciare il rapporto di forza con l'UFC.
Vari ostacoli si frappongono alla realizzazione di questo progetto - il più grande è forse proprio la mancanza di coesione da parte degli stessi lottatori - tra cui alcuni legali.
Uno dei nodi più difficile da sciogliere è che il contratto che lega gli atleti all'UFC è un contratto di collaborazione esterna. Negli Stati Uniti, questo significa che i lottatori non hanno diritto ha costituire un sindacato ne di interferire in merito alle decisioni dell'azienda, dell'UFC. Firmano un contratto in cui concordano con quello che vi è stipulato e lì finisce il loro campo d'azione.
Tuttavia non tutto è bianco e nero.
Un articolo pubblicato sul sito combatsportslaw.com, dedicato agli aspetti legali degli sport sa combattimento negli Stati Uniti, ricorda che, per la legge americana, nonostante quel che dica il tuo contratto potresti essere un lavoratore dipendente.
Com'è possibile?
Attraverso un tribunale. Un tribunale ha il diritto di stabilire se, indipendentemente da ciò che dice il contratto, un individuo è un collaboratore o un dipendente e lo fa guardando alla totalità del rapporto di lavoro.
Se i lottatori venissero considerati dipendenti avrebbero il diritto di costituire un sindacato e di usufruire inoltre della protezione minima garantita per legge ai dipendenti.
Esistono però, concretamente, le basi per fondamentare tale argomento?
Sembrerebbe di sì, ci sono precedenti. Ed è qui che entrano in gioco spogliarelliste e cheerleaders.
Verso la fine dell'anno scorso, la corte suprema del Nevada ha stabilito che le spogliarelliste che lavoravano nel Sapphire Gentlmen's Club erano di fatto dipendenti, non collaboratrici indipendenti come scritto nel contratto. È stata una decisione importante perché ha spianato la strada agli artisti dello spettacolo per denunciare il mancato pagamento di ore arretrate, straordinari e altre protezioni per i lavoratori dipendenti previste dalla legge. Gli elementi che portarono ad una tale conclusione, sorsero in particolare dall'analisi del grado di influenza del supposto datore di lavoro verso i collaboratori esterni nel tentativo di capire quanto "indipendenti" fossero. In particolare:
1) il grado di diritto del supposto datore di lavoro di stabilire il modo in cui il lavoro deve essere svolto;
2) quanto il profitto o la perdita del supposto datore di lavoro dipende dalla sua capacità di gestione.
Con il celebrato programma antidoping dell'UFC che richiede agli atleti disponibilità verso l'USADA 24 ore su 24, 365 giorni all'anno; con l'accordo con la Reebok per le divise che stabilisce cosa devono vestire i lottatori quando combattono secondo una struttura di compensazione economica imposta unilateralmente e, per ultimo, con la recente creazione dell'UFC Lab il cui obiettivo è quello di influenzare i metodi di allenamento e riabilitazione degli atleti, insieme alle frequenti forti restrizioni incluse nei contratti dell'UFC, gli argomenti per un rapporto datore di lavoro/dipendente diventano sempre più solidi.
I lottatori dell'UFC possono inoltre imparare da "Lacy", delle Oakland Raiderettes che ha sottoposto con successo un azione legale che è risultata in un accordo di 1,25 milioni di dollari per il mancato pagamento di salari adeguati secondo la legge dello stato.
Per farla breve, le cheerleaders erano state contrattate a 125 dollari a partita, quando, sommando tutti gli allenamenti, comparse e altri obblighi imposti per adempiere al loro dovere, il montante retribuito durante la stagione era ben al di sotto del valore minimo previsto dalle legge.
Benché questo caso non entri nel dibattito sulla natura del rapporto di lavoro (era chiaro che le cheerleaders erano dipendenti), il caso illustra come, se i lottatori dell'UFC sono dipendenti, la legge sul minimo salariale si potrebbe applicare a tutti gli allenamenti e attività necessarie alla preparazione degli incontri.
In conclusione, se i lottatori desiderano formare un'associazione o magari perfino un sindacato dipende da loro.
I lottatori dovrebbe tenere in mente tuttavia che quanto più forte cresce la posizione dell'UFC e quanta più influenza esercitano sulla condotta degli atleti durante l'anno, tanto più si rafforza l'argomento che i lottatori stanno vivendo un rapporto datore di lavoro/dipendente.