Ancora non è chiaro il futuro di GSP. Dovesse decidere di tornare, ci sono buoni motivi per credere che lo farà vincendo.
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George St-Pierre sembra più che mai vicino al ritorno alle competizioni.
La conferma è arrivata indirettamente pochi giorni fa da Freddie Roach. Lo storico allenatore di boxe di GSP ha dichiarato che faranno un training camp di sei settimane di prova, un camp in piena regola, come si preparassero per un vero incontro. Questo test servirà per far capire al canadese a che punto è, fisicamente e in particolar modo mentalmente. Se ha ancora voglia di entrare dentro l’Ottagono; se sente ancora quella fame di vittorie imprescindibile a certi livelli; se è ancora disposto a fare i sacrifici che una tale vita richiede.
Al camp le risposte.
Eppure i tifosi la loro risposta l’hanno già data: no, è meglio che non torni.
L’opinione è quasi unanime: St-Pierre il meglio di se l’ha già dato e, dovesse tornare, davanti non lo attenderebbe che il tramonto, pronto a eclissare la memoria di una carriera brillante con i tetri colori di amare sconfitte.
George St-Pierre è stato capace di fare quel che da sempre si predica in vano: ritirarsi al culmine della carriera. Perché tornare ora quindi? L’abbiamo visto tutti com’è finita: l’ha scampata per un pelo. La vittoria contro Johny Hendricks è arrivata più per grazia del destino, benevolo di fronte ad un esimio atleta in procinto da lasciare spazio alle nuove leve, che per meriti propri. Per carità, io stesso ricordo di avere avuto St-Pierre vincitore 48-47, ma, cartellini a parte, tutti coloro che hanno seguito l’incontro, chi in casa davanti alla televisione, chi nell’arena a un palmo dall’Ottagono, si rendevano conto che GSP le aveva prese quella notte.
Ed è questo il vero motivo per cui sono in pochi ad augurarsi che ritorni a combattere: perché quella notte non abbiamo assistito al culmine della carriera di George St-Pierre, ne abbiamo intravisto la fine.
Ma sarà davvero così?
Ne ero più convinto dopo l’incontro con Hendricks di quanto non lo sia oggi.
Innanzitutto perché St-Pierre è una persona intelligente che pondera ogni decisione piuttosto che seguire l’istinto, tanto dentro come fuori dall’Ottagono, e finora ha spesso optato per la strategia giusta sia contro i suoi avversari sia quando è stato il momento di prendersi una pausa dalle MMA. Se oggi sta seriamente valutando di tornare a combattere, dovremmo quindi credere che ha buoni motivi per ritenere di essere ancora altamente competitivo.
E di buoni motivi, in effetti, ne esistono almeno quattro.
1. È il momento giusto
Non è cambiato quasi nulla nella divisione dei pesi welter da quando GSP se n’è allontanato due anni fa. È apparso un solo nome nuovo di spicco, che poi tanto nuovo non è: Robbie Lawler. È vero, è il campione, ma lo è per un margine minimo, non è una spanna sopra gli altri. Lui, Rory MacDonald, Johny Hendricks e Carlos Condit sono tutti sullo stesso livello. Livello che St-Pierre conosce molto bene (vedi punto 2).
Ma deve sbrigarsi. Sebbene a 34 anni non sia vecchio (lo stesso Lawler ne ha 33, Hendricks 32 e Condit 31), la sua gioventù sportiva si avvicina al termine e soprattutto prolungare ulteriormente l’assenza dalle competizioni non farebbe altro che arrugginirlo.
2. Si allena con Rory MacDonald
Mettiamola così: se St-Pierre le prendesse da Rory in allenamento, credete penserebbe al ritorno? Ne dubito. E se te la cavi bene con lui, te la cavi bene con chiunque nei pesi welter.
3. GSP, non dimentichiamolo, è un fuoriclasse
Lawler, Hendricks, MacDonald e Condit non lo sono. Loro, come dicevamo poco fa, sono tutti sullo stesso livello e questo è per definizione il contrario di essere dei fuoriclasse. Fighter eccellenti, senza dubbio, tuttavia un fuoriclasse non è uno che vince spesso, vince praticamente sempre, vince dominando e lo fa per anni. Jon Jones, José Aldo, Ronda Rousey, Anderson Silva, George St-Pierre: questi sono fuoriclasse.
Non sono convinto che fuoriclasse si nasca, ma non si smette certamente di esserlo.
4. Il fattore psicologico
Sottovalutare questo aspetto è non conoscere il mondo degli sport da combattimento. Con tenacia, fiducia nei propri mezzi e le motivazioni giuste sei in grado di vincere anche con una mano rotta. Senza, puoi perdere anche contro un avversario con una mano rotta. GSP era al limite del collasso emozionale, come lui stesso ha ammesso, ed è per questo che si è allontanato dalle MMA. Non ha mai parlato di problemi fisici o stanchezza: era distrutto psicologicamente, sovrastato dallo stress, dalla pressione dell’ambiente e dall’ossessione per gli incontri. L’ultimo St-Pierre che abbiamo visto dentro l’Ottagono era lontano dal 100%, l’ombra di George ‘Rush’ St-Pierre. Se, come sembrerebbe, ha finalmente recuperato serenità, passione per le MMA e fame di vittoria, potremmo davvero trovarci di fronte a un lottatore rinato.
Tuttavia, è proprio questo il grande punto interrogativo e la ragione per cui ha intelligentemente deciso di fare un training camp. Fare un training camp non è come allenarsi quando ti pare e piace, o quando stai bene e ti senti in forma. Un training camp è sempre, è la tua vita per settimane. Dimenticati gli amici, la fidanzata e la famiglia, perché in quel periodo non esiste altro se non allenamenti e riposo dagli allenamenti. Ti alleni, al limite e oltre, anche quando non ne puoi più, anche quando sei esausto e rotto e domani si ricomincia. Per fare un training camp bisogna avere tenacia, obiettivi da raggiungere, essere concentrati, avere passione e spirito di sacrificio.
Non completi un training camp perché non hai niente di meglio da fare, ci vai fino in fondo perché è quello che vuoi fare nella vita.
Come St-Pierre emergerà da quel training camp deciderà non solo il suo futuro, deciderà anche il prossimo futuro della categoria dei pesi welter.