Uno sguardo a quel che resta dopo il terremoto causato dallo scandalo che vede coinvolti l'UFC e Vitor Belfort.
Alcune considerazioni in merito alle rivelazioni fatte da
Deadspin sulla presunta positività di Vitor Belfort insabbiata dall'UFC nel 2012.
1. Cosa dovrebbe
pensare Jon Jones?
Il procuratore Malki Kawa assicura che il suo assistito,
Jon Jones, “è molto arrabbiato”
Hey Ben, he's very angry about this. "@benfowlkesMMA: A few takeaways from the Deadspin story on Vitor ... http://t.co/TNF81ztUFm
— malki kawa (@malkikawa) September 24, 2015
E non si può certo biasimarlo.
Nel 2012, a fine agosto, l’UFC mise alla gogna Jones per essere stato, nelle parole del suo presidente Dana White, il responsabile del cancellamento di UFC 151 e per cercare di cercare di uccidere questo sport.
UFC 151 era in programma il 1º di settembre.
Rivelazioni recenti dimostrano che
- il giorno dopo, il 2 di settembre, Vitor Belfort – nuovo avversario di Jones a UFC 152, in programma tre settimane dopo - risultò positivo all’antidoping
- l’UFC era a conoscenza dei risultati delle analisi
- l’UFC nascose e insabbiò l’accaduto
- l’UFC autorizzò il brasiliano a combattere
Perché ‘Bones’, come tutti noi, alcune cose le sapeva e
ancora le ricorda.
Ricorda perfettamente di essere arrivato a millimetri –
letteralmente – dal perdere il titolo in favore di Vitor Belfort; di averci
quasi lasciato un gomito in una chiave di braccio e di aver rischiato di
rimetterci la carriera.
Chiedersi se ‘The Phenom’
sarebbe mai stato in grado, in condizioni normali, di mettere a
repentaglio la cintura di Jon Jones e la sua salute, è una domanda chiaramente
inutile, in termini pratici, ma costringe a riconoscere che le possibili
conseguenze del doping nelle MMA – o in qualunque altro sport da combattimento
– sono ben più serie rispetto ad uno sport come il ciclismo, per esempio.
Un fighter dopato può, non solo vincere più facilmente o
mettere a rischio la sua propria salute. Un fighter dopato può colpire più
forte e più rapidamente; può infliggere un danno superiore al suo avversario,
metterlo più facilmente ko o spezzargli un gomito in una chiave di braccio.
Per farla breve: Il
doping negli sport da combattimento non è un’arma per vincere, è un’arma.
Punto.
Mi si dirà però per tutta risposta che i fighter sanno
quello a cui vanno incontro. Che non giocano a tennis. Infliggere e subire
danni fisici è il loro lavoro, il loro pane quotidiano.
Vero, esiste però un limite e quel limite è descritto dalla
legge: si chiama ‘consenso informato’.
Consenso informato significa che un individuo è a conoscenza
del rischio che corre nello svolgimento di una determinata attività e lo
accetta.
Negli sport da combattimento, una parte sostanziale di
questa informazione è data dal regolamento. Un fighter sa che non si troverà di
fronte un uomo armato, per esempio, e può fidarsi del fatto che nel momento in
cui rinuncerà, l’arbitro interromperà l’incontro.
Dovesse succedergli qualcosa entro i limiti del regolamento,
sarebbe cosciente di ciò a cui va in contro.
Tuttavia, nel momento in cui non sa che il suo avversario è
dopato, poiché il regolamento lo proibisce, non esiste ‘consenso informato’.
Questo concetto non si limita solo agli sport da
combattimento.
Il principio di ‘consenso informato’ è costantemente
applicato nella nostra vita di tutti i giorni.
Se qualcuno ci deruba non può appellarsi al ‘consenso
informato’, perché non è scritto da nessuna parte che è consentito rubare. Lo
stesso accade se qualcuno ci dà un pugno in faccia per strada, non esiste
‘consenso informato’ e il colpevole può essere accusato di aggressione. Se poi
viene fuori che l’amico dell’aggressore era al corrente delle intenzioni
dell’altro, lui stesso potrà essere accusato di complicità.
Analogamente, Vitor
Belfort può essere legalmente considerato l’aggressore di Jon Jones e l’UFC sua
complice per i fatti avvenuti fuori e dentro l’Ottagono di UFC 152 .
O, detto in un altro modo, dopo le rivelazioni fatte da
Deadspin, Jon Jones ha tutto il diritto di trascinare in tribunale sia Belfort,
sia l’UFC.
2. Un altro aspetto straordinario di questa vicenda è che quel che fa scalpore non è il fatto che
Vitor Belfort sia risultato positivo ad un test antidoping.
Questo la dice lunga sull’immagine attuale del brasiliano
nel mondo delle MMA: che Belfort si sia dopato ormai non fa più notizia.
Eppure continua a combattere, mentre Nick Diaz se ne dovrà
stare fuori cinque anni perché pare si sia fumato uno spinello di troppo prima
di un incontro.
3. Bisogna spezzare
una lancia in favore dell’UFC.
Che in questa faccenda l’abbia fatta grossa non ci sono
dubbi, ma se al giorno d’oggi un episodio di questo genere non potrebbe
accadere, il merito lo si deve alla stessa UFC.
Da quando l’UFC ha introdotto la nuova politica antidoping,
ha delegato tutto l’iter processuale all’USADA e ai Comitati Atletici degli
stati che ospitano gli eventi e si è di fatto privata del potere di controllare
e influenzarne i risultati.
Se Belfort, o qualunque altro atleta, dovesse oggi risultare
positivo, secondo quanto stipulato dal nuovo accordo, tutto ciò che l’UFC
avrebbe il diritto di fare è di aumentare la pena stabilita dal processo.
L’UFC si è quindi in questo modo prevenuta contro futuri
scandali legati al doping.
Sfortunatamente per loro però, bonificare il passato sarà
molto più difficile.
Specialmente se come oggi viene a bussarti alla porta.